Non me ne vogliano i fan di Joanne Harris se la mia recensione al suo romanzo d'esordio non risulta del tutto positiva. Il seme del male è un'opera giovanile dell'autrice e come evidenzierò nella mia critica, ci sono una serie di motivi che giustificano la poca riuscita di questo libro. Sono aperta a chiunque abbia un parere diverso dal mio in merito, e voglia farmi presente la sua opinione.
Detto questo, vi auguro buona lettura.
Detto questo, vi auguro buona lettura.
RECENSIONE:
Questo romanzo vorrebbe essere
un horror, ma di horror ha ben poco, se vogliamo considerare l’atmosfera cupa e
tetra di un cimitero e dei vampiri poco rassicuranti. Possiamo considerarlo più
un urban fantasy dall’abito gotico e dal volto dark.
Romanzo d’esordio della
Harris, Il seme del male - come l’autrice stessa ha dichiarato - vuole essere
una forma di ribellione nei confronti della madre che non le aveva mai permesso
di leggere questo genere letterario. Possiamo quindi perdonarla se l’effetto
horror non risulta riuscito a pieno. La trama si rivela essere piuttosto
semplice e i personaggi pochi ma ben caratterizzati.
Alice Farrell è una giovane
pittrice che un giorno si trova per caso a soffermarsi davanti ad una strana
lapide nel cimitero di Grantchester a Cambridge. Il nome della defunta, appena
visibile a causa delle erbacce che lo ricoprono, è Rosemary Virginia Ashley.
Alice è subito pervasa da una strana e inspiegabile inquietudine, sensazione
che tornerà anche quando conoscerà Ginny, la nuova e strana ragazza del suo ex
fidanzato, Joe.
Alice si rende subito conto che in Ginny si nasconde qualcosa
di oscuro e sinistro, inizia perciò a temere per la vita di Joe, soprattutto
quando scoprirà che la misteriosa ragazza compie visite notturne alla tomba di Rosemary,
accompagnata da amici dall’aspetto inquietante che sembrano provenire
direttamente da un’altra epoca.
Perché Ginny dovrebbe andare a trovare una
defunta seppellita mezzo secolo prima?
Che connessione c’è tra le due donne?
La prima parte del romanzo
risulta decisamente poco chiara e scorrevole, si comincia a capirci veramente
qualcosa solo da metà in poi. Nonostante questo, la Harris riesce a ispirare
una buona dose di suspance nel lettore, almeno all’inizio. Due voci narranti
differenti si alternano nella narrazione della storia, fatto che inizialmente
contribuisce a disorientare non poco chi legge.
I pochi colpi di scena presenti nel romanzo sono in gran parte
prevedibili, tanto che a un certo punto il lettore si accorgerà di aver già
capito come andrà a finire, ben prima del termine della lettura.
La parola
vampiro compare si e no una volta in tutto il romanzo, e solo verso la fine.
Siamo infatti di fronte a vampiri che non si definiscono tali, per loro la
Harris preferisce la semplice definizione di: creature. Si tratta di vampiri atipici, che non si
nutrono delle loro vittime semplicemente succhiandone il sangue, ma in un modo
ben più cruento che non vi voglio svelare.
Per concludere: se siete amanti dei
vampiri alla Twilight questo libro certamente non fa per voi, ma se cercate un
horror leggero e qualche brivido lungo la schiena, allora troverete ciò che
cercate.
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